XXII SETTIMANA TEOLOGICA DIOCESI PISTOIA SETTEMBRE 2008

LA RIFLESSIONE TEOLOGICA DI MONS.GIORDANO FROSINI SUL TEMA DELLA CITTA'

Il tema della città è sempre di stretta attualità: di essa se ne può parlare in termini propositivi e fiduciosi oppure, come nel nostro tempo, in maniera più nostalgica, nel senso che trattiamo di qualcosa che si è smarrito.

La tensione e la speranza di governare il futuro ha coinvolto non solo architetti e urbanisti, ma anche politici e uomini di cultura nel periodo che dal dopoguerra arriva alla metà degli anni '70 e in tale contesto prezioso è stato il contributo teorico e la testimonianza di importanti figure del mondo cattolico come La Pira, Dossetti e Lazzati.

L'insistente e vigorosa riflessione teologica di Frosini sul tema della città, invece, attraversa il deserto degli anni '80 e '90, nel solco tracciato dalle figure sopra richiamate. Il suo contributo teorico può essere simbolicamente rappresentato da una lucerna che ha contribuito ad arrestare l'avanzare delle tenebre. Lungo è stato il silenzio della teologia su una realtà umana così importante. L'eccessiva separazione tra la dimensione dell'anima e quella del corpo ha portato la pastorale della Chiesa ad occuparsi più delle attività e delle espressioni di vita della città anziché della sua dimensione fisica, come se quest'ultima non fosse in grado autonomamente di orientare positivamente o negativamente le dinamiche sociali, tanto che si può parlare di “spazio educante”.

Non è un caso che la Chiesa trovi più naturale il suo radicamento nelle realtà rurali mentre meno incisiva è la sua presenza nelle aree urbane dove i fenomeni sociali e le dinamiche relazionali sono assai più complesse.

Non è un caso che in questa stagione di deserto un'altra importante figura pistoiese, questa volta nell'ambito dell'architettura, Giovanni Michelucci, con le sue opere e con il suo pensiero ha rifondato il tema della città partendo proprio dalle sue sconfitte e marginalità sociali. Probabilmente Pistoia, con l'austerità delle sue pietre, trasmette, a chi sa coglierla, una sensibilità tutta particolare in grado di leggere in profondità i fatti della città.

Vasto è stato il contributo di Frosini sul tema: una luce e una ispirazione che hanno orientato la ricerca e l'attività nelle realtà terrestri. Fondamentale il suo libro “ Babele o Gerusalemme- per una teologia della città” del 1992, ristampato a cura delle Dehoniane nel 2007 con un nuovo capitolo dedicato alla figura di Dossetti; una prima parte del libro è di tipo storico culturale mentre la seconda di tipo formalmente teologica ma trattate con una dimensione di organicità. Poi, nel 2006, due “libretti” che già nel titolo comunicano le precise intenzioni dell'autore: “La città di tutti” e “E' l'ora delle città”.

Pur nella loro piccola dimensione sono ricchi di spunti di riflessione. I tratti distintivi della città a misura d'uomo vengono frantumanti e ricomposti in modo da renderli chiaramente leggibili anche ai non addetti ai lavori. Molteplici sono stati gli editoriali dedicati al tema della città pubblicati in modo ricorrente sul settimanale diocesano La Vita e numerose le conferenze tenute da Frosini in molte città del territorio italiano.


Due sono i capisaldi presenti nei testi da sottolineare:

La città, come affermava La Pira, è la casa dell'uomo. L'uomo è il centro vivente, il cuore pulsante, la misura della città è l'uomo. Parlare dell'uomo significa parlare della città, l 'uomo preso in tutta la sua estensione come persona e come comunità. Michelucci raccomandava ai giovani architetti di osservare l'uomo anche se, ci vuole una vita; nella società dei media, però, come afferma Peter Eisenman “ corollario della predominante cultura dei media è che a poco a poco l'osservatore è diventato sempre più passivo”.

Il secondo è il valore e il ruolo fondamentale della politica: Frosini auspica una ritrovata partecipazione dei laici alla costruzione del bene comune e la cosidera una delle attività più nobile dello spirito umano. La crisi cronica in cui versa la politica ha contribuito a rendere più opache e tristi le nostre città: ambedue queste realtà si sono allontanate dalle finalità per le quali sono state create.


Tra i tanti temi specifici presenti nella riflessione di Frosini, è opportuno segnalarne alcuni in quanto vere e proprie emergenze di natura culturale e sociale.

E' necessario recuperare un rapporto di autenticità con la storia. Frosini, nella sua elaborazione, si muove con disinvoltura e appropriatezza in un flusso di pensiero dinamico: parte dalla problematicità del presente, si immette nella storia e balza verso il futuro. “Nelle città riconosciamo il volto dei nostri padri”, afferma, “le radici del nostro passato, idee, aspirazioni, speranze materializzate nelle pietre”; qui è l'essenza della città. Oggi, purtroppo, questa relazione ha assunto altri connotati e per spiegarne il volto utilizzo due esempi dal valore simbolico.

E' oramai fattore acquisito dalla sociologia urbana che le nuove piazze sono quelle dei centri commerciali – outlet dove solo il 40% acquista; per lo più giovani e anziani li usano come luoghi di incontro. Chi è stato almeno una volta in una di queste mega strutture si sarà reso conto che in esse si riproduce il “volto finto della città” secondo gli stilemi delle aree geografiche di appartenenza. La gente è rassicurata in questo gioco di specchi tra il reale e la finzione e molti dei frequentatori alla lunga non faranno più distinzioni con il “volto vero dei nostri centri storici”. Un recente editoriale su Il Corriere della Sera di Ernesto Galli Della Loggia, provocatoriamente titolava “L'Italia falsa delle fiction”. Nonostante la ricca tradizione del cinema italiano (neorealismo) e la presenza di talenti, nel nostro paese impazza l'esatto contrario: il trionfo dell'inautentico e del falso. Occorre tener presente questi segni di arretramento culturale, mentre diviene necessario recuperare un rapporto creativo con la storia capace di ispirare e di configurare un'identità contemporanea.


Su un recente numero di Specchio, distribuito con il quotidiano La Stampa, era pubblicato un servizio sulla città più remota del mondo: Perth in Australia. Davanti 4000 km di deserto alle spalle l'Oceano e Singapore a 4 ore di volo. Il giornalista intervistava un fiorentino ora nuovo abitante di questa città. “ ..non c'era un angolo della città in cui potevo riconoscermi... uno shock! Per uno che quando usciva di casa si trovava davanti a Piazza della Signoria; sono dovuto ripartire da zero. Poi, cominciai a ritrovare cose che in Italia non abbiamo più: maggiore apertura mentale, la disponibilità della gente ad ascoltarti volentieri e a fermarsi a parlare con te”. Questo signore ha ritrovato le sue radici e la sua identità di cittadino in un luogo senza storia, mentre la “sua” Piazza della Signoria è divenuta oramai una bella cornice senza più il dipinto, aggredita ogni giorno da fiumi di gente, dal turismo mordi e fuggi. Ecco, come sosteneva Michelucci, che le città prima le fanno gli uomini e poi le pietre.


Un altro aspetto significativo è il valore della partecipazione che nei cattolici diviene quasi un obbligo morale.

Idea basilare dell'esperienza di Dossetti nella città di Bologna, come ben spiega Frosini nel suo libro, è proprio quella della partecipazione: la città è cosa pubblica e tutti i suoi abitanti devono partecipare alla formazione dei programmi. Oggi questa indicazione è ancor più necessaria in relazione ad un quadro politico notevolmente mutato; l'assenza dei partiti nella rete territoriale, l'eccessiva delega di rappresentanza data ai Sindaci, la presa di campo di un pragmatismo sterile anziché privilegiare una corretta programmazione, il ruolo egemone sulla politica dei potentati economici che ha prodotto, finanziando “legalmente” le casse vuote dei comuni, una lenta e progressiva devastazione del territorio e i suoi tessuti storicizzati. Non basta parlare solo di partecipazione ma la vera priorità è tornare ad educare, che significa riscrivere in maniera comune e condivisa un sistema di valori e di riferimenti culturali.

Anche coloro che partecipano nei comitati contro le marginalità sociali in difesa del proprio privato dedicano il loro tempo e il loro impegno per la loro causa ma certo non nell'ottica della promozione del bene comune. In questo processo di rifondazione etica della società è sempre più necessaria la testimonianza credibile dei cattolici anche se oramai essi rappresentano una realtà minoritaria nel paese. Nella liturgia di domenica scorsa, S.Paolo segnava l'orizzonte verso cui tendere: “non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare”.


Non basta affermare principi e valori senza affiancare ad essi una conoscenza e una competenza nel decifrare la complessità dei fenomeni urbani. In questi decenni abbiamo assistito all'affermazione di archistar alla Renzo Piano, mentre dall'altra parte, l'infelice congiunzione di interessi della politica e dell'economia ha consentito a gruppi ristretti di invadere le nostre città con interventi decontestualizzati e fuori da ogni logica qualitativa. Nel mezzo, tante professionalità,abilità mortificate, giovani che non riescono a concretizzare in fatti i loro sogni,architetti che credono ancora che il fare architettura rappresenti un atto di alta valenza sociale, alla faccia della tanta proclamata meritocrazia. Un sentimento di profonda rassegnazione invade gli animi di molti, nel vedere che l'Italia è oramai un paese ostaggio dei furbi e di coloro che aggirano costantemente le regole che valgono sempre e solo per i soliti.


Altro tema nel quale tutto si riassume e costantemente ricorre negli scritti di Frosini è quello de “La città dell'utopia”, intesa non come luogo inesistente ma come “luogo felice”: “qualcosa di lontano , difficile da raggiungere almeno nella sua pienezza ma verso cui dobbiamo sempre camminare”.

Le riflessioni di Frosini rappresentano un sensibile e intelligente anello di congiunzione tra la cultura del tempo e la riflessione della Fede e costituiscono un punto di riferimento sempre aggiornato. E' singolare che la prossima Biennale dell'Architettura di Venezia, uno degli appuntamenti più prestigiosi del settore, con il titolo scelto dal direttore Aaron Betsky “ Out There: Architecture Beyond Building, frase che può essere tradotta con “L'architettura oltre il costruire”, voglia proporre una visione dell'architettura liberata dagli edifici, capace di interrogare la realtà, tornando a progettare l'impossibile riprendendosi la vocazione utopica.

Ecco allora che la teologica sui segni dei tempi, proprio per il suo procedere in stretto dialogo con le vicende dell'uomo contemporaneo, si incontra con la riflessione della cultura architettonica. E' un bel segno di speranza, un punto di incontro da dove ripartire.



Alessandro Suppressa