CHIESA
OGGI ARCHITETTETTURA E COMUNICAZIONE
LO
SPAZIO SACRO IN GIOVANNI MICHELUCCI
Dai
primi anni ottanta mi sono accostato a Michelucci, attraverso vari
incontri presso la villa Il Roseto, sede della Fondazione, con la
visione e lo studio delle sue architetture associati alla lettura
dei sui scritti. Sotto il profilo professionale ho avuto modo di
approfondire le tematiche relative allo spazio sacro e di attuare
alcuni interventi progettuali di adeguamento liturgico in contesti
diversificati. Con questa serie di esperienze ho tentato di
ripercorrere alcune delle linee guida, sviluppate da Michelucci,
sul tema dell'architettura sacra. In particolare, nelle chiese
realizzate in Pistoia, troviamo le radici tematiche della sua
lunga e creativa elaborazione progettuale e in esse è ben
percettibile il suo iter di maturazione, il suo processo di
acquisizione dello spazio all'interno di una dialettica tra
tradizione e modernità , quest'ultima intesa come capacità
di leggere i segni dei tempi e tradurli in forme
architettoniche. Come nell'architettura sacra confluiscono una
molteplicità di discipline, di dimensioni e di relazioni,
così in Michelucci convivono numerose sottolineature, tanto
da fargli attribuire, oltre al titolo di architetto, alcune
qualificazioni come quella di poeta, di filosofo, di teologo
dell'architettura, insieme ad altre, tutte comunque riconducibili
ad una dimensione di interiorità e di spiritualità:
il suo pensiero, infatti, si contrappone al concetto di
materialità tanto da far attribuire alla forma la
dimensione dell'essere o meglio dell'esistere, entro la quale le
attività dell'uomo acquisiscono una valenza altra, di
respiro universale. Questa sua capacità di leggere i
bisogni interiori dell'uomo è ricambiata da una costante e
crescente attenzione da parte dei "non addetti"; i
giovani in particolare ma anche molte persone comuni, vengono
affascinati dal linguaggio fiabesco dei suoi scritti e ognuno di
loro rintraccia delle tensioni ideali e dei semi di speranza che
interpellano direttamente la vita personale e di conseguenza la
sfera comunitaria. L'architettura è così associata
ad una dimensione etica e di alto profilo ed è sottratta
alle logiche del profitto dove l'uomo è finalizzato al
consumo dei beni dimenticando che la città è la
sintesi costruita delle relazioni sviluppate nel grande solco
della storia. Più freddo e distaccato risulta, invece,
il rapporto con la critica e con gli architetti in genere che, pur
essendo di grande rispetto verso un padre dell'architettura
italiana, non è mai sfociato nella piena condivisone in
quanto, è una figura difficile da collocare, troppo ai
confini del fare architettura, poco interessato al solo studio
formale come invece sembra andare per la maggiore: citando Brecht,
Michelucci evidenzia tale diversità di atteggiamento: "ad
alcuni artisti, contemplando il mondo, succede come a molti
filosofi. Nello sforzo di arrivare alla forma la sostanza va
perduta". Che in Michelucci sia presente una dimensione
spirituale è fuori da ogni dubbio ma occorre capire se
essa, con lo scorrere del tempo, sia confluita in un cammino di
fede più adulta senza la quale risulterebbe difficile
comprendere la sua azione progettuale e l'evoluzione della forma
architettonica. Il pensiero progettuale che ha originato le circa
trenta chiese progettate, concentrate in gran parte nell'arco
temporale che va dal dopoguerra alla fine degli anni ottanta, non
può essere ridimensionato ad un espressionismo gestuale che
nasce da una visione antropologica del sacro. Occorre sempre
tenere presente che Michelucci esce dai canoni professionali
tradizionali; quando nel 1946 inizia ad elaborare e a
concretizzare il primo vero progetto di una chiesa, quella per
Collina, ha già l'età di 55 anni ed ha già
acquisito una formazione in settori complementari
all'architettura. Nel 1911 si diploma alla Scuola di Architettura
all'Accademia di Belle Arti, in stretto rapporto con Papini, Rosai
e il gruppo degli artisti pistoiesi di Lippi, Innocenti,
Caligiani, Nannini. Qualche anno dopo conosce il volto tragico
della guerra al comando del plotone di richiamati a Caporetto e il
dolore provocato dalla morte dei due fratelli a causa del colera.
Costretto a riconvertire parte delle officine di famiglia in
fonderia artistica del bronzo, insegna nella Scuola d'Arte
consolidando il rapporto con gli allievi Bugiani, Cappellini,
Agostini, Mariotti. Lascia Pistoia per Roma, città nella
quale studia l'architettura sacra, scopre il Barocco e partecipa
attivamente ai movimenti di rinnovamento dell'architettura
italiana , conosce il potere del fascismo e agli inizi degli anni
trenta e progetta con Piacentini la città universitaria di
Roma. Dal 1928 fino al trentasei è incaricato di
architettura degli interni presso la scuola superiore di
architettura di Firenze e nel 1939 diviene professore ordinario
alla stessa cattedra e preside della facoltà fiorentina.
Crea la rivista "la Nuova Città". Arriva
compiutamente al tema dell'architettura sacra non solo con un
ricco ed eterogeneo bagaglio culturale ma soprattutto avendo
acquisito una profonda conoscenza dell'uomo e avendo condiviso in
più riprese le ferite dell'umanità, emerse in
particolare dalla devastazione della guerra e dalla povertà
sociale. La sua visione antropologica nasce non da una visione
intellettualistica dei fenomeni sociologici ma dal concepire che
anche una dimensione di semplice spiritualità può
sfociare nella fede; l'uomo può riscattare la propria
dimensione materiale, trasfigurando le comuni sconfitte sociali
della povertà, dell'emarginazione, della sofferenza in una
visione sacrale della vita, dimensione che non può rimanere
estranea all'architettura. E' da questa dinamica che la
dimensione spirituale di Michelucci cresce e si plasma: in un arco
di tempo relativamente breve dal 1953, data di conclusione della
chiesa di Collina, al 1960, ai primi studi iniziali per la chiesa
di S. Giovanni Battista, dell'Autostrada del Sole, Michelucci
evolve sensibilmente l'acquisizione dello spazio architettonico,
con una libertà espressiva capace di cogliere l'essenza e
approfondire i molteplici aspetti simbolici del sacro, grazie
anche al suo "sentirsi libero da preoccupazioni storico -
ambientali e libero, più di sempre, dall'ambizione di
creare un'opera intellettualmente interessante". Per la
verità questo processo si era concretizzato ed annunciato,
qualche anno prima, con le forme più contenute ma non per
questo meno incisive, nella chiesa del Villaggio Belvedere a
Pistoia. In essa forte è il rapporto con il tessuto urbano
del quartiere tanto da far esaltare lo spazio assembleare in una
sorta di piazza orizzontale, tangente ad percorso, coperta e
protetta da una tenda che si raccoglie sul presbiterio: "nelle
mie intenzioni gli elementi architettonici dovevano far avvertire
un collegamento ideale tra lo spazio ecclesiale e la città
". Si potrebbe dire che la prima fase di questo itinerario
prende avvio dalla piccola cappella costruita durante la prima
guerra mondiale (1916-17) lungo la valle dell'Isonzo, a Casale
Ladra e giunge sino alla chiesa di Santa Maria a Larderello in
provincia di Pisa (1956 - 58). Michelucci, in tutte le sue
opere di questo periodo accosta al tema dello spazio sacro
elementi della memoria e del luogo vissuto, chiaramente
identificabili e comprensibile anche dalla gente più
semplice, e tale dimensione umana rappresenta il primo passo per
approdare ad una dimensione spirituale. La piccola cappella di
Caporetto, come si evince da alcune testimonianze del periodo,
veniva associata quasi per la sua austerità anche ad un
punto posta, dove i soldati potevano sostare per una veloce
preghiera e per trovare un po' di intimità per scrivere
lettere ai propri cari. La "non architettura " della
chiesa di Collina con la sobrietà e i tratti rurali "di
un fabbricato sacro che si fa casa di tutti", la chiesa della
Vergine caratterizzata e ritmata dal paramento in laterizio
riconducibile al fianco del S. Domenico di Pistoia, quasi a voler
portare una eco della storia urbana e religiosa della città
in luogo periferico e privo di una precisa identità.
Infine, Larderello dove forte è il confronto con un
paesaggio caratterizzato dai fumi e dai grandi refrigeratori
industriali: attraverso il rimando alla forma ottagonale delle
grandi torri di raffreddamento, Michelucci esalta l'assemblea e il
vibrare mistico della luce filtrata dalle vetrate colorate,
offrendo una interpretazione gioiosa dello spazio e contribuendo
ad allontanare dall'animo l'onda grigia dei fumi emanata dai
soffioni, una chiesa in grado cioè, "di dare
significato e valori nuovi alle azioni della vita quotidiana".
Con questa opera "forse la più fantastica",
l'architetto raggiunge un livello di eleganza e raffinatezza
formale tali da fargli imporre autocriticamente una battuta di
arresto: dinanzi al naturale e forse non confessato senso di
compiacimento per ciò che è stato realizzato,
avverte che quella non è più una dimensione che gli
appartiene. Attraverso queste esperienze Michelucci comprende
che il rapporto tra l'uomo e Dio non può essere intimistico
ma in questa alleanza devono partecipare e integrarsi tante
dimensioni: l'architettura e la natura, lo spazio sacro e lo
spazio urbano e il paesaggio, quasi come l'opera architettonica
sacra, fosse la continuazione naturale del processo creativo
divino. Questa seconda fase prende chiaramente le mosse, come
già detto, dalla contenuta ma importantissima chiesa del
Belvedere, per la cui realizzazione occorre essere grati, oltre
che all'autore, anche ai responsabili ecclesiastici di quel tempo
che non hanno indugiato nella realizzazione. A cavallo degli anni
'50 e '60, questa nuova consapevolezza di Michelucci matura grazie
ai numerosi rapporti di amicizia e di scambio culturale con alcune
personalità del mondo cattolico fiorentino, attente al
vento rigenerante e ricco di stimoli degli anni che preparano il
Concilio Vaticano II. Questo processo trova la massima
concretizzazione nella chiesa più famosa, quella
dell'Autostrada del Sole, che provocò scandalo in quanto
rompeva con una prassi funzionalistica, per cui ogni spazio doveva
essere ben definito e preciso e in cui sembrava "che l'uomo
non potesse entrare con tutta la propria umanità". Si
rese necessario l'intervento illuminato di Papa Giovanni XXIII per
superare le perplessità e i dubbi dei settori più
tradizionalisti. Non sono più solo le vicende umane ad
ispirare la progettazione ma esse si integrano con le cose del
mondo e in particolare con la bellezza e la forza della natura. A
tale riguardo è significativo e affascinante il racconto di
Michelucci, nel quale ripercorre sinteticamente l'idea che origina
la chiesa dell'Autostrada: "nelle mie chiese ricorrono due
motivi principali: la barca e la tenda, entrambi elementi di vita,
entrambi ricovero dell'uomo in viaggio. Quando nacque dentro di me
l'idea della Tenda, come forma della chiesa di San Giovanni
Battista, ero solo in campagna. Guardavo il paesaggio e vidi
lontano, all'orizzonte, una forma, come di un ponte appuntito. Era
quella la figura che poteva esprimere l'esigenza dell'oggetto non
variabile. La tenda è la forma più perfetta che si
possa dare, non ce ne un'altra. Un'altra sarebbe sbagliata. E'
l'unica e più semplice figura di un riparo e porta a un
pensiero che è preghiera". Questa sensibilità
e questa coralità di pensiero si evolve prima nella
scultorità monolitica del Santuario della Beata Vergine
della Consolazione a San Marino, in cui il rivestimento uniforme
d'intonaco grezzo e la forza della luce naturale fanno assume in
contemporanea all'intero spazio la severità e la morbidezza
e, successivamente, nell'ultima chiesa realizzata: quella di
Longarone conclusa nel 1978, in cui prende forma la drammatica
dimensione di forza della natura. L'ultima fase che si delinea
durante la sua lunga vecchiaia di centenario, più complessa
e meno identificabile delle precedenti, può essere
riassunta chiaramente in una dichiarazione di intenti, più
volte richiamata ma sempre efficace: "chiunque volesse
commissionarmi una chiesa, saprà che mi impegnerei a
costruire un pezzo di città aperto a tutti, ma anche chi
volesse commissionarmi un edificio pubblico, laico, tenga presente
che mi impegnerei a imprimervi quel senso di sacralità che
la città ha smarrito". Questa impostazione nasce
anche dallo sgomento interiore che gli scaturiva proprio dal
vedere che le sue architetture non riuscivano a catturare e ad
interpretare tutte le tensioni che stavano maturando nella società
e nella chiesa ed ecco quindi la necessità di proiettare
direttamente il tema dello spazio sacro sulla nuova città
superando le distinzioni, rinunciando ai primati simbolici
tradizionali, evocando, grazie alla sua saggezza, una sorta di
atteggiamento ecumenico che prende vita dall'incontro e dalla
fusione delle differenze. Solo in questi tempi percepiamo la
portata lungimirante di tale ammonimento. Non è un caso
che le sue opere architettoniche, non solo nell'ambito degli
edifici sacri segnano il passo sul piano realizzativo; nell'ultimo
decennio di vita Michelucci produce un enorme quantità di
disegni e schizzi (depositati e visibili presso il Centro di
Documentazione nel Palazzo Comunale di Pistoia e che ancora pochi
conoscono), senza trovare nelle committenze, persone di coraggio
in grado di calarsi nella profondità del suo pensiero e di
attivare nuove relazioni. Committenze spesso prigioniere del
pragmatismo semplificatorio (sempre duro a morire) per la ricerca
di facili consensi. In questa nuova chiave di lettura deve
essere inquadrato il progetto di una chiesa e un centro civico per
il quartiere di S.Miniato a Siena che per cinque anni (1977-82)
impegna Michelucci in una fertile e ricca elaborazione di schizzi,
anche quando la prospettiva di concretizzare l'opera si era
allontanata; nei suoi appunti manoscritti, si legge infatti: "lo
spazio non ha più confini tutto è sacro e non vi è
comportamento di uomo o avvenimento che quella sacralità
possa distruggere". In un certo senso si chiude
idealmente il grande cerchio che ritrova l'uomo non più e
non solo portatore di stati emozionali tragici o felici, spesso
più grandi di lui, ma esso è rigenerato, quasi
felice, del suo partecipare alla vita comunitaria e alla faticosa
scoperta della sacralità della vita con il suo essere
coinvolto assieme alla natura nel processo della creazione delle
cose. Questo approdo è ancor più rafforzato dalla
carica simbolica e fantasiosa della grande chiesa a forma di "arca
incagliata nella roccia", progettata nel 1982 per Guri in
Venezuela: il suo navigare nel mare tempestoso della storia e
della coscienza si infrange idealmente nella materialità e
il luogo fisico che ha contenuto il navigatore si solleva da terra
quasi a voler creare una dimensione ininterrotta con il cielo,
pronto ora con la propria vela, a spiccare il volo. "Mi
distacco sempre più dal mio lavoro e dal mio tormento,
perché il mondo che sto scoprendo è molto più
alto delle mie possibilità: è il mondo dello
spirito", affermava. In questo atteggiamento, in questo
processo di acquisizione ci sono molti elementi affini ad un
autentico cammino di fede; non è forse dallo sgomento e dal
dubbio che si alimenta la fede, dal comprendere che l'uomo non può
contemplare il tutto con la sola dimensione razionale ed è
proprio quindi una volta che ha preso coscienza di ciò, del
proprio limite sente il bisogno di affidarsi a Dio. Il suo
atteggiamento umile e radicale nei confronti del fare architettura
del "io non so nulla" è il desiderio di
spogliarsi dalle proprie certezze per mettersi in discussione ogni
volta per poter meglio comprendere i nuovi bisogni. Solo dopo
averli interiorizzati, potrà tornare in gioco l'esperienza
maturata. Quante volte il cristiano deve fare un punto e
ripartire: questo non significa non riconoscere la positività
delle esperienze fatte; quelle oramai ci appartengono e sono
dentro di noi. Occorre avere un atteggiamento di nuova
disponibilità capace di ascoltare ciò che avviene
intorno a noi e non riproporre stancamente un modello rassicurante
oramai sperimentato. Ad esempio, inserire un grande camino
nella chiesa progettata per il paese montano di Pian di Novello,
affinchè al termine della giornata, quando la gente si
troverà per pregare, ognuno possa portare un proprio pezzo
di legna per alimentare il fuoco, di fatto è un'idea
semplice e geniale allo stesso tempo. Ma che rimane però
inespressa nel nostro animo e se non emergere grazie ad una
sensibilità e ad un'attenzione verso la liturgia e avendo
percepito il valore dei simboli? Questo stato d'animo nasce e
si rafforza attraverso una vera e propria meditazione nei
confronti della vita: qualcosa che prima è stato intuito e
poi masticato lentamente con distacco critico grazie ad un
paziente lavoro quotidiano. E' il mondo dello spirito che lo
esige. La ricerca di Michelucci è solitaria, in prima
persona tesa a costruire il proprio mondo interiore: ogni
progetto, anche non realizzato, è documentato da molti
disegni, che spesso differiscono l'uno all'altro introducendo ogni
volta una piccola modificazione, segnando così il tempo
della riflessione. Oggi, nella società dei consumi, tutto è
stato velocizzato e anche i progetti vengono selezionati dagli
enti per la loro rapidità di esecuzione: il fare prende
sempre più possesso del come e perché fare. Nel
noto articolo "Giovanni Michelucci teologo
dell'architettura", Padre Eugenio Marino, non solo vedeva in
Michelucci la figura che era riuscita a scardinare lo spazio sacro
stereotipato ma anche colui che lentamente era riuscita a calarsi
nella dinamica liturgica " Michelucci si è inserito in
questa ricerca, e lo si può vedere nelle tre
caratteristiche che individuano i suoi edifici sacri: la coralità,
l'agorà e il percorso. Tale triade non è che
espressione ed interpretazione architettonica delle
"caratteristiche della Fede", della ecclesia, che è
il Popolo di Dio". Alla soglia dei cento anni egli è
arrivato appena a toccare con un dito di una mano ciò che
aveva sempre desiderato e non è un caso che abbia affermato
" se io campassi altri novantanove anni, mi basterebbero
appena per rincorre questo sogno, questa idea, questa cosa: la
città". Sono sicuro che ci ha lasciati con la
felicità nel cuore, sapendo di poter disegnare la città
eterna, nel tempo infinito.
Alessandro
Suppressa
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