LE OPERE E I GIORNI – CHIESA OGGI 2003

CHIESA OGGI ARCHITETTETTURA E COMUNICAZIONE

LO SPAZIO SACRO IN GIOVANNI MICHELUCCI

Dai primi anni ottanta mi sono accostato a Michelucci, attraverso vari incontri presso la villa Il Roseto, sede della Fondazione, con la visione e lo studio delle sue architetture associati alla lettura dei sui scritti. Sotto il profilo professionale ho avuto modo di approfondire le tematiche relative allo spazio sacro e di attuare alcuni interventi progettuali di adeguamento liturgico in contesti diversificati. Con questa serie di esperienze ho tentato di ripercorrere alcune delle linee guida, sviluppate da Michelucci, sul tema dell'architettura sacra.
In particolare, nelle chiese realizzate in Pistoia, troviamo le radici tematiche della sua lunga e creativa elaborazione progettuale e in esse è ben percettibile il suo iter di maturazione, il suo processo di acquisizione dello spazio all'interno di una dialettica tra tradizione e modernità , quest'ultima intesa come capacità di leggere i segni dei tempi e tradurli in forme architettoniche.
Come nell'architettura sacra confluiscono una molteplicità di discipline, di dimensioni e di relazioni, così in Michelucci convivono numerose sottolineature, tanto da fargli attribuire, oltre al titolo di architetto, alcune qualificazioni come quella di poeta, di filosofo, di teologo dell'architettura, insieme ad altre, tutte comunque riconducibili ad una dimensione di interiorità e di spiritualità: il suo pensiero, infatti, si contrappone al concetto di materialità tanto da far attribuire alla forma la dimensione dell'essere o meglio dell'esistere, entro la quale le attività dell'uomo acquisiscono una valenza altra, di respiro universale.
Questa sua capacità di leggere i bisogni interiori dell'uomo è ricambiata da una costante e crescente attenzione da parte dei "non addetti"; i giovani in particolare ma anche molte persone comuni, vengono affascinati dal linguaggio fiabesco dei suoi scritti e ognuno di loro rintraccia delle tensioni ideali e dei semi di speranza che interpellano direttamente la vita personale e di conseguenza la sfera comunitaria. L'architettura è così associata ad una dimensione etica e di alto profilo ed è sottratta alle logiche del profitto dove l'uomo è finalizzato al consumo dei beni dimenticando che la città è la sintesi costruita delle relazioni sviluppate nel grande solco della storia.
Più freddo e distaccato risulta, invece, il rapporto con la critica e con gli architetti in genere che, pur essendo di grande rispetto verso un padre dell'architettura italiana, non è mai sfociato nella piena condivisone in quanto, è una figura difficile da collocare, troppo ai confini del fare architettura, poco interessato al solo studio formale come invece sembra andare per la maggiore: citando Brecht, Michelucci evidenzia tale diversità di atteggiamento: "ad alcuni artisti, contemplando il mondo, succede come a molti filosofi. Nello sforzo di arrivare alla forma la sostanza va perduta".
Che in Michelucci sia presente una dimensione spirituale è fuori da ogni dubbio ma occorre capire se essa, con lo scorrere del tempo, sia confluita in un cammino di fede più adulta senza la quale risulterebbe difficile comprendere la sua azione progettuale e l'evoluzione della forma architettonica. Il pensiero progettuale che ha originato le circa trenta chiese progettate, concentrate in gran parte nell'arco temporale che va dal dopoguerra alla fine degli anni ottanta, non può essere ridimensionato ad un espressionismo gestuale che nasce da una visione antropologica del sacro.
Occorre sempre tenere presente che Michelucci esce dai canoni professionali tradizionali; quando nel 1946 inizia ad elaborare e a concretizzare il primo vero progetto di una chiesa, quella per Collina, ha già l'età di 55 anni ed ha già acquisito una formazione in settori complementari all'architettura. Nel 1911 si diploma alla Scuola di Architettura all'Accademia di Belle Arti, in stretto rapporto con Papini, Rosai e il gruppo degli artisti pistoiesi di Lippi, Innocenti, Caligiani, Nannini. Qualche anno dopo conosce il volto tragico della guerra al comando del plotone di richiamati a Caporetto e il dolore provocato dalla morte dei due fratelli a causa del colera. Costretto a riconvertire parte delle officine di famiglia in fonderia artistica del bronzo, insegna nella Scuola d'Arte consolidando il rapporto con gli allievi Bugiani, Cappellini, Agostini, Mariotti. Lascia Pistoia per Roma, città nella quale studia l'architettura sacra, scopre il Barocco e partecipa attivamente ai movimenti di rinnovamento dell'architettura italiana , conosce il potere del fascismo e agli inizi degli anni trenta e progetta con Piacentini la città universitaria di Roma. Dal 1928 fino al trentasei è incaricato di architettura degli interni presso la scuola superiore di architettura di Firenze e nel 1939 diviene professore ordinario alla stessa cattedra e preside della facoltà fiorentina. Crea la rivista "la Nuova Città".
Arriva compiutamente al tema dell'architettura sacra non solo con un ricco ed eterogeneo bagaglio culturale ma soprattutto avendo acquisito una profonda conoscenza dell'uomo e avendo condiviso in più riprese le ferite dell'umanità, emerse in particolare dalla devastazione della guerra e dalla povertà sociale. La sua visione antropologica nasce non da una visione intellettualistica dei fenomeni sociologici ma dal concepire che anche una dimensione di semplice spiritualità può sfociare nella fede; l'uomo può riscattare la propria dimensione materiale, trasfigurando le comuni sconfitte sociali della povertà, dell'emarginazione, della sofferenza in una visione sacrale della vita, dimensione che non può rimanere estranea all'architettura.
E' da questa dinamica che la dimensione spirituale di Michelucci cresce e si plasma: in un arco di tempo relativamente breve dal 1953, data di conclusione della chiesa di Collina, al 1960, ai primi studi iniziali per la chiesa di S. Giovanni Battista, dell'Autostrada del Sole, Michelucci evolve sensibilmente l'acquisizione dello spazio architettonico, con una libertà espressiva capace di cogliere l'essenza e approfondire i molteplici aspetti simbolici del sacro, grazie anche al suo "sentirsi libero da preoccupazioni storico - ambientali e libero, più di sempre, dall'ambizione di creare un'opera intellettualmente interessante". Per la verità questo processo si era concretizzato ed annunciato, qualche anno prima, con le forme più contenute ma non per questo meno incisive, nella chiesa del Villaggio Belvedere a Pistoia. In essa forte è il rapporto con il tessuto urbano del quartiere tanto da far esaltare lo spazio assembleare in una sorta di piazza orizzontale, tangente ad percorso, coperta e protetta da una tenda che si raccoglie sul presbiterio: "nelle mie intenzioni gli elementi architettonici dovevano far avvertire un collegamento ideale tra lo spazio ecclesiale e la città ".
Si potrebbe dire che la prima fase di questo itinerario prende avvio dalla piccola cappella costruita durante la prima guerra mondiale (1916-17) lungo la valle dell'Isonzo, a Casale Ladra e giunge sino alla chiesa di Santa Maria a Larderello in provincia di Pisa (1956 - 58).
Michelucci, in tutte le sue opere di questo periodo accosta al tema dello spazio sacro elementi della memoria e del luogo vissuto, chiaramente identificabili e comprensibile anche dalla gente più semplice, e tale dimensione umana rappresenta il primo passo per approdare ad una dimensione spirituale.
La piccola cappella di Caporetto, come si evince da alcune testimonianze del periodo, veniva associata quasi per la sua austerità anche ad un punto posta, dove i soldati potevano sostare per una veloce preghiera e per trovare un po' di intimità per scrivere lettere ai propri cari.
La "non architettura " della chiesa di Collina con la sobrietà e i tratti rurali "di un fabbricato sacro che si fa casa di tutti", la chiesa della Vergine caratterizzata e ritmata dal paramento in laterizio riconducibile al fianco del S. Domenico di Pistoia, quasi a voler portare una eco della storia urbana e religiosa della città in luogo periferico e privo di una precisa identità.
Infine, Larderello dove forte è il confronto con un paesaggio caratterizzato dai fumi e dai grandi refrigeratori industriali: attraverso il rimando alla forma ottagonale delle grandi torri di raffreddamento, Michelucci esalta l'assemblea e il vibrare mistico della luce filtrata dalle vetrate colorate, offrendo una interpretazione gioiosa dello spazio e contribuendo ad allontanare dall'animo l'onda grigia dei fumi emanata dai soffioni, una chiesa in grado cioè, "di dare significato e valori nuovi alle azioni della vita quotidiana".
Con questa opera "forse la più fantastica", l'architetto raggiunge un livello di eleganza e raffinatezza formale tali da fargli imporre autocriticamente una battuta di arresto: dinanzi al naturale e forse non confessato senso di compiacimento per ciò che è stato realizzato, avverte che quella non è più una dimensione che gli appartiene.
Attraverso queste esperienze Michelucci comprende che il rapporto tra l'uomo e Dio non può essere intimistico ma in questa alleanza devono partecipare e integrarsi tante dimensioni: l'architettura e la natura, lo spazio sacro e lo spazio urbano e il paesaggio, quasi come l'opera architettonica sacra, fosse la continuazione naturale del processo creativo divino.
Questa seconda fase prende chiaramente le mosse, come già detto, dalla contenuta ma importantissima chiesa del Belvedere, per la cui realizzazione occorre essere grati, oltre che all'autore, anche ai responsabili ecclesiastici di quel tempo che non hanno indugiato nella realizzazione. A cavallo degli anni '50 e '60, questa nuova consapevolezza di Michelucci matura grazie ai numerosi rapporti di amicizia e di scambio culturale con alcune personalità del mondo cattolico fiorentino, attente al vento rigenerante e ricco di stimoli degli anni che preparano il Concilio Vaticano II. Questo processo trova la massima concretizzazione nella chiesa più famosa, quella dell'Autostrada del Sole, che provocò scandalo in quanto rompeva con una prassi funzionalistica, per cui ogni spazio doveva essere ben definito e preciso e in cui sembrava "che l'uomo non potesse entrare con tutta la propria umanità". Si rese necessario l'intervento illuminato di Papa Giovanni XXIII per superare le perplessità e i dubbi dei settori più tradizionalisti.
Non sono più solo le vicende umane ad ispirare la progettazione ma esse si integrano con le cose del mondo e in particolare con la bellezza e la forza della natura. A tale riguardo è significativo e affascinante il racconto di Michelucci, nel quale ripercorre sinteticamente l'idea che origina la chiesa dell'Autostrada: "nelle mie chiese ricorrono due motivi principali: la barca e la tenda, entrambi elementi di vita, entrambi ricovero dell'uomo in viaggio. Quando nacque dentro di me l'idea della Tenda, come forma della chiesa di San Giovanni Battista, ero solo in campagna. Guardavo il paesaggio e vidi lontano, all'orizzonte, una forma, come di un ponte appuntito. Era quella la figura che poteva esprimere l'esigenza dell'oggetto non variabile. La tenda è la forma più perfetta che si possa dare, non ce ne un'altra. Un'altra sarebbe sbagliata. E' l'unica e più semplice figura di un riparo e porta a un pensiero che è preghiera".
Questa sensibilità e questa coralità di pensiero si evolve prima nella scultorità monolitica del Santuario della Beata Vergine della Consolazione a San Marino, in cui il rivestimento uniforme d'intonaco grezzo e la forza della luce naturale fanno assume in contemporanea all'intero spazio la severità e la morbidezza e, successivamente, nell'ultima chiesa realizzata: quella di Longarone conclusa nel 1978, in cui prende forma la drammatica dimensione di forza della natura.
L'ultima fase che si delinea durante la sua lunga vecchiaia di centenario, più complessa e meno identificabile delle precedenti, può essere riassunta chiaramente in una dichiarazione di intenti, più volte richiamata ma sempre efficace: "chiunque volesse commissionarmi una chiesa, saprà che mi impegnerei a costruire un pezzo di città aperto a tutti, ma anche chi volesse commissionarmi un edificio pubblico, laico, tenga presente che mi impegnerei a imprimervi quel senso di sacralità che la città ha smarrito".
Questa impostazione nasce anche dallo sgomento interiore che gli scaturiva proprio dal vedere che le sue architetture non riuscivano a catturare e ad interpretare tutte le tensioni che stavano maturando nella società e nella chiesa ed ecco quindi la necessità di proiettare direttamente il tema dello spazio sacro sulla nuova città superando le distinzioni, rinunciando ai primati simbolici tradizionali, evocando, grazie alla sua saggezza, una sorta di atteggiamento ecumenico che prende vita dall'incontro e dalla fusione delle differenze. Solo in questi tempi percepiamo la portata lungimirante di tale ammonimento.
Non è un caso che le sue opere architettoniche, non solo nell'ambito degli edifici sacri segnano il passo sul piano realizzativo; nell'ultimo decennio di vita Michelucci produce un enorme quantità di disegni e schizzi (depositati e visibili presso il Centro di Documentazione nel Palazzo Comunale di Pistoia e che ancora pochi conoscono), senza trovare nelle committenze, persone di coraggio in grado di calarsi nella profondità del suo pensiero e di attivare nuove relazioni. Committenze spesso prigioniere del pragmatismo semplificatorio (sempre duro a morire) per la ricerca di facili consensi.
In questa nuova chiave di lettura deve essere inquadrato il progetto di una chiesa e un centro civico per il quartiere di S.Miniato a Siena che per cinque anni (1977-82) impegna Michelucci in una fertile e ricca elaborazione di schizzi, anche quando la prospettiva di concretizzare l'opera si era allontanata; nei suoi appunti manoscritti, si legge infatti: "lo spazio non ha più confini tutto è sacro e non vi è comportamento di uomo o avvenimento che quella sacralità possa distruggere".
In un certo senso si chiude idealmente il grande cerchio che ritrova l'uomo non più e non solo portatore di stati emozionali tragici o felici, spesso più grandi di lui, ma esso è rigenerato, quasi felice, del suo partecipare alla vita comunitaria e alla faticosa scoperta della sacralità della vita con il suo essere coinvolto assieme alla natura nel processo della creazione delle cose. Questo approdo è ancor più rafforzato dalla carica simbolica e fantasiosa della grande chiesa a forma di "arca incagliata nella roccia", progettata nel 1982 per Guri in Venezuela: il suo navigare nel mare tempestoso della storia e della coscienza si infrange idealmente nella materialità e il luogo fisico che ha contenuto il navigatore si solleva da terra quasi a voler creare una dimensione ininterrotta con il cielo, pronto ora con la propria vela, a spiccare il volo. "Mi distacco sempre più dal mio lavoro e dal mio tormento, perché il mondo che sto scoprendo è molto più alto delle mie possibilità: è il mondo dello spirito", affermava. In questo atteggiamento, in questo processo di acquisizione ci sono molti elementi affini ad un autentico cammino di fede; non è forse dallo sgomento e dal dubbio che si alimenta la fede, dal comprendere che l'uomo non può contemplare il tutto con la sola dimensione razionale ed è proprio quindi una volta che ha preso coscienza di ciò, del proprio limite sente il bisogno di affidarsi a Dio. Il suo atteggiamento umile e radicale nei confronti del fare architettura del "io non so nulla" è il desiderio di spogliarsi dalle proprie certezze per mettersi in discussione ogni volta per poter meglio comprendere i nuovi bisogni. Solo dopo averli interiorizzati, potrà tornare in gioco l'esperienza maturata.
Quante volte il cristiano deve fare un punto e ripartire: questo non significa non riconoscere la positività delle esperienze fatte; quelle oramai ci appartengono e sono dentro di noi. Occorre avere un atteggiamento di nuova disponibilità capace di ascoltare ciò che avviene intorno a noi e non riproporre stancamente un modello rassicurante oramai sperimentato.
Ad esempio, inserire un grande camino nella chiesa progettata per il paese montano di Pian di Novello, affinchè al termine della giornata, quando la gente si troverà per pregare, ognuno possa portare un proprio pezzo di legna per alimentare il fuoco, di fatto è un'idea semplice e geniale allo stesso tempo. Ma che rimane però inespressa nel nostro animo e se non emergere grazie ad una sensibilità e ad un'attenzione verso la liturgia e avendo percepito il valore dei simboli?
Questo stato d'animo nasce e si rafforza attraverso una vera e propria meditazione nei confronti della vita: qualcosa che prima è stato intuito e poi masticato lentamente con distacco critico grazie ad un paziente lavoro quotidiano. E' il mondo dello spirito che lo esige.
La ricerca di Michelucci è solitaria, in prima persona tesa a costruire il proprio mondo interiore: ogni progetto, anche non realizzato, è documentato da molti disegni, che spesso differiscono l'uno all'altro introducendo ogni volta una piccola modificazione, segnando così il tempo della riflessione. Oggi, nella società dei consumi, tutto è stato velocizzato e anche i progetti vengono selezionati dagli enti per la loro rapidità di esecuzione: il fare prende sempre più possesso del come e perché fare.
Nel noto articolo "Giovanni Michelucci teologo dell'architettura", Padre Eugenio Marino, non solo vedeva in Michelucci la figura che era riuscita a scardinare lo spazio sacro stereotipato ma anche colui che lentamente era riuscita a calarsi nella dinamica liturgica " Michelucci si è inserito in questa ricerca, e lo si può vedere nelle tre caratteristiche che individuano i suoi edifici sacri: la coralità, l'agorà e il percorso. Tale triade non è che espressione ed interpretazione architettonica delle "caratteristiche della Fede", della ecclesia, che è il Popolo di Dio".
Alla soglia dei cento anni egli è arrivato appena a toccare con un dito di una mano ciò che aveva sempre desiderato e non è un caso che abbia affermato " se io campassi altri novantanove anni, mi basterebbero appena per rincorre questo sogno, questa idea, questa cosa: la città".
Sono sicuro che ci ha lasciati con la felicità nel cuore, sapendo di poter disegnare la città eterna, nel tempo infinito.


Alessandro Suppressa