CONVEGNO LA CITTA' DI TUTTI OTTOBRE 2006

LA CITTA’ DEL FUTURO


relatori:

Prof. Giorgio Petracchi, Renzo Berti, Alessandro Antichi ex Sindaco di Grosseto e Alessandro Suppressa


La riflessione sul tema proposto non può che oltrepassare i confini pistoiesi, anche se bisogna avere la consapevolezza che la nostra realtà non è esente da un quadro di problematicità. Parlare di “città” significa suggerire diversi scenari: dalle realtà di piccole dimensioni, ancora “salde e compatte”, all’anonimato metropolitano rappresentato dall’elevato numero di abitanti e dall’esplosione di immani periferie.

L’Italia, paradossalmente, è uno scenario ideale per svolgere delle riflessioni sui futuri scenari dal momento che presenta un panorama complesso e contraddittorio: estensioni naturali si contrappongono a vaste urbanizzazioni, la ricchezza di testimonianze architettoniche e artistiche, quasi in ombra rispetto alla grande massa di costruzioni banali e decontestualizzate.

Per chi ha la fortuna di vivere nella Toscana, la città, anzi il senso della città, appartiene alla natura della sua gente e quindi, abbiamo un motivo in più per non sottrarsi da questo compito; storicamente nei nostri centri la strada è un percorso che collega polarità, il paesaggio è lo sfondo in cui si completa il costruito, il fiume diviene un elemento generatore di vita e nel carattere dello spazio pubblico si completa la dimensione del vivere privato.

Dovendo innanzitutto, analizzare lo stato che ha generato la crisi della città contemporanea, prima di tracciare alcune linee di carattere operativo, occorre registrare il fatto che mentre su taluni tematiche come l’educazione, la cultura, il sociale sono più evidenti le singole differenziazioni tra i due schieramenti politici, centro destra e centro sinistra, sui temi urbanistici e architettonici si registra, in gran parte del territorio nazionale, una spiccata omogeneizzazione. E’ indubbio che la qualità del vivere è determinata non solo dallo spazio fisico ma in buona misura anche dalla rete dei servizi alla persona e dalla vivacità delle proposte culturali e quindi sono da premiare quelle realtà, come Pistoia, che investono su questi temi: a tale riguardo Michelucci affermava che le città prima le formano gli uomini e poi le pietre.

A conferma di questo processo di appiattimento, recentemente anche il governatore della Toscana, Claudio Martini, intervenendo sulle pagine della cronaca sul caso Monticchiello, ha affermato che negli ultimi anni “ i comuni hanno vissuto di edilizia”, cioè tradotto significa che le amministrazioni non hanno potuto o voluto essere esigenti sul piano qualitativo nei confronti di chi ha portato denaro fresco nelle casse asfittiche delle amministrazioni pubbliche. E la realtà toscana non è tra realtà fra le peggiori.

Il pubblico, anziché stabilire un rapporto equilibrato con le logiche dettate dal mercato ha di fatto abdicato al suo ruolo, rinunciando a guidare i processi edilizi: l’Italia è piena di casi Monticchiello!

Un’ulteriore riflessione, che chiama in causa la politica, sta nel fatto che amministrare significa rendere razionale l’esistente e contenere l’onda delle emergenze, mentre governare significa guidare, orientare le trasformazioni e la crescita, programmare, avere visioni organiche di largo respiro in cui ricomprendere anche la dimensione della quotidianità. Per una urbanistica a misura d’uomo non basta amministrare; mentre per altri settori della vita pubblica può essere sufficiente nella città no. In essa tutte le dimensioni dell’uomo e del vivere trovano la sintesi.

L’elezione diretta dei Sindaci, ha portato tanti aspetti positivi, ma ha incrementato logiche pragmatiche (ansia da prestazione misurata sul mandato) che spesso semplificano e nascondono i problemi e rinunciando, nei fatti, alla dimensione programmatoria. A questo va unita anche una sorta di de-responsabilizzazione delle strutture tecniche interne troppo subalterne alle volontà politiche, cioè non sono in grado di rivendicare una propria autonomia rispetto al momento politico.


Città per tutti e di tutti: la vera novità è capire come questo obiettivo si realizza e quali dimensioni dell’uomo sono messe in gioco. Con la nascita dell’urbanistica moderna prendeva vita una sorta di utopia, quella che poteva esserci una società senza mercato. La città doveva crescere secondo un sistema di coerenze in cui i valori autentici potevano trovare espressione al di là delle logiche del profitto. In questi ultimi decenni abbiamo assistito al venire meno di questa impostazione e abbiamo assistito inermi all’avanzare di logiche neo liberiste che hanno posto il mercato al centro. L’urbanistica doveva rappresentare la possibilità di dare un assetto giusto al territorio e ciò significava delineare degli strumenti chiari attraverso forme di reale partecipazione, togliendo il più possibile lo stato di arbitrarietà delle decisioni: scelte fatte, quindi, in modo consapevole e condiviso anziché in modo sovrano.

Nel prevalere delle logiche di mercato viene meno il valore positivo dell’uomo; oltre ad aver alterato la qualità di molte realtà urbane questo sistema ha messo in crisi un sistema di valori e di identità surrogandoli con altri ben più effimeri, come il consumismo, l’individualismo e la conseguente perdita di centralità dei luoghi a carattere comune. I nuovi stili di vita oscillano dal desiderio della villetta a schiera con tanto di orto, simbolicamente segno di autosufficienza e il centro commerciale, vero e proprio santuario del nostro tempo in cui si rimane soli pur essendo immersi nella massa.

La città del futuro non può che non essere di tutti, nel senso che attraverso essa si appartiene contemporaneamente al mondo globalizzato e ad una comunità con proprie identità; la città deve essere fondata su logiche di accoglienza, condivisione e su questo fronte lo scritto di Mons. Frosini è illuminante. Le parti del suo libro riguardanti i temi della partecipazione e della trasparenza chiamano in causa direttamente la politica e i suoi comportamenti e questi temi rappresentano una vera e propria priorità. Città di tutti significa che tutti ma proprio tutti possono avere l’occasione per essere soggetti protagonisti del cambiamento: troppo spesso, in particolare nei confronti delle nuove generazioni, assistiamo ad uno affossamento di risorse e di potenzialità. Incombente è la presenza di gruppi ristretti, spesso satellitari alle realtà di potere o che sfruttano abilmente rendite di posizione, sono sempre più determinanti nel condizionare e orientare le scelte. Per rimanere nell’ambito dell’architettura in una nazione come la Francia quasi la metà delle opere pubbliche sono sottoposte a concorso (significa mettere in competizione la qualità e dare occasioni anche ai giovani preparati) in Italia non si arriva al 5% di una quantità di architetture nettamente inferiore: è un fatto culturale ma anche di trasparenza dei processi.

Nella seconda parte del mio contributo desidero evidenziare alcune tematiche emergenti, sottolineando che il risultato finale delle nostre azioni non è indipendente da come queste tematiche verranno trattate. Occorre recuperare una nuova dimensione di educazione alla città, da troppo tempo dimenticata grazie all’affermarsi di modelli culturali inculcati in particolare dai mezzi di comunicazione di massa.

Occorre recuperare quello spirito che ha generato i nostri centri antichi dove la dimensione dell’individuo trovava completezza nella dimensione collettiva mentre oggi, all’opposto, la città moderna tenta di dare un’interpretazione collettiva ad esigenze individuali.

Quindi è necessario stabilire un rapporto autentico con la storia, troppo spesso vissuta in modo nostalgico; si ricorre più alla mimesi anziché ricercare forme e linguaggi aggiornati. Si delinea una visione pittoresca, adatta al turismo mordi e fuggi, in cui vero e falso si confondono, proprio come avviene in tanti programmi televisivi. Essere contemporanei significa entrare nel solco della storia e vivere in modo creativo il proprio tempo.

Occorre recuperare una visione organica della città: la periferia prima che un fatto fisico è una dimensione culturale e sociale. Occorre avere il coraggio di programmare interventi di “rottamazione” di tanti “incongrui” edifici che difficilmente rispondono a criteri di sicurezza (sismica) e risparmio energetico e con le nuove riconfigurazioni introdurre nel tessuto elementi di urbanità. Nella cultura media dei cittadini, lo spazio pubblico non interessa, segno di una spiccata forma di individualismo e solo oggi ci rendiamo conto della povertà di certi luoghi.

Nel tempo si è affermato un idea di comfort teso ad eliminare qualsiasi problema: una sorta di igienizzazione della società. E’ giusto rimuovere il rumore ma nella città esistono anche i suoni, è richiesta l’illuminazione ma esiste anche il buio e il bisogno di una luce che esalta le differenze, accanto alla qualità dell’aria esiste anche la tutela degli odori degli elementi naturali. In una società che diviene ogni giorno più razionale e pragmatica occorre porre attenzione anche all’intera sensorialità della persona.

Occorre avere la consapevolezza di vivere in una vera e propria emergenza ambientale, nella quale il risparmio dell’energia e delle risorse (in gran parte provocate dagli edifici esistenti) sono autentiche priorità. Bisogna recuperare molto terreno su questo fronte: norme nazionali e regionali di recente emanazione tardano ad essere recepite a livello locale provocando una situazione a pelle di leopardo che certo non facilità l’affermarsi di una nuova cultura ambientale. I comuni devono premiare e incentivare chi investe nella qualità architettonica e sul risparmio energetico.

Nonostante lo sviluppo delle reti informatiche l’esigenza di mobilità, sia per lavoro che per lo svago, rappresenta una domanda in forte crescita; se da una parte occorre favorire gli scambi, dall’altra, in particolare nelle aree metropolitane, occorre ammodernare le reti di trasporto pubblico limitando l’uso del mezzo privato.

Il tema dell’abitare ha rappresentato negli ultimi decenni l’anello debole del sistema città: il mercato ha speculato sui bisogni reali della gente imponendo prezzi di acquisto che nella maggioranza dei casi non corrispondono al reale valore. Abbiamo assistito, in grandi aree del paese, ad una forte omologazione tipologica, una sorta di grande “villettopoli” che pare disegnata dalla solita mano, senza il rispetto delle tradizioni tipologiche e costruttive di ogni zona. Leggi vetuste regolano ancora gli insediamenti economici e popolari (termini che dovrebbero scomparire) e non tengono conto delle nuove esigenze dei nuclei familiari sia per la presenza di anziani e dei bambini e di nuove forme di socialità e di accessibilità che proprio nella dimensione domestica devono trovare origine.

Bisognerebbe avere il coraggio di fermarsi per capire in quale direzione dobbiamo andare, in modo consapevole e non essere trasportati da fenomeni impetuosi…. Ma forse anche questa è solo utopia.


Alessandro Suppressa