PER MANO FEBBRAIO 2007

TRACCE DI CITTA’

Sulla prima pagina del sito relativo al Designer Outlets di Barberino, si legge che questa nuova concezione di centro commerciale di oltre 25.000mq, ha un design “ispirato all’architettura caratteristica del Mugello e della Toscana. Su quello ubicato a Serravalle Scrivia, in provincia di Alessandria, invece si apprende:“ si vive un’esperienza di shopping unico…. nella suggestione di un centro del Settecento ligure, immerso nel verde. Un’emozione irrinunciabile senza lo stress del traffico (è escluso quello autostradale) e con mille vantaggi”. In poche righe, si mescolano, con grande disinvoltura, termini effimeri con altri potenzialmente densi di significati. Si potrebbe anche sorvolare su tali affermazioni, ma recenti studi di ricerca hanno sostenuto che proprio il centro commerciale si avvia sempre più a diventare “la nuova piazza degli italiani” e allora non possiamo essere disattenti nei confronti di fenomeni che coinvolgono le masse e i particolare le giovani generazioni.

I nuovi templi del tempo libero riscuotono grande successo non solo per l’irrefrenabile voglia di consumare ma anche per il fatto che vengono trasformati in occasione di incontro.

Il consumatore medio è rappresentato da una coppia di circa 38 anni che nel centro passa tre ore, visita quattordici negozi almeno una volta al mese e si presuppone che nel tempo libero rimasto, prima o poi, riesca ad avere dei figli ed ecco che a quel punto il vero protagonista diviene il nucleo familiare consumatore, con tutti gli inevitabili riflessi sul piano della formazione delle menti. Al visitatore – cliente “l’emozione” è provocata non solo dal bombardamento dei prodotti, delle marche, degli odori artificiali ma anche dal fatto di camminare in una città conosciuta, una città “storica” ricostruita che a tavolino è stata pensata con codici formali e stilistici ben conosciuti. Proprio come nei reality televisivi, anche loro tanto di moda, dove il vero e il falso si confondono in un gioco abbagliante di specchi.

Sono voluto partire da questa provocatoria constatazione per sviluppare alcune riflessioni sul lavoro portato avanti pazientemente dagli educatori delle scuole materne comunali con i bambini sul tema della piazza. La prima, la più importante, è che in un clima di grande trasformazione del costume e dei comportamenti delle persone, delle famiglie, coraggiosa e in controtendenza è la scelta di coinvolgere i bambini su una riflessione attorno all’identità della città e dei suoi luoghi. Attraverso i loro occhi e i loro sentimenti non contaminati, risulta faticoso ma senza dubbio affascinante ricostruire un’etica dei valori e dei significati del vivere la città da porre poi alla attenzione del mondo degli adulti: i bambini che rieducano i grandi, non è già un fatto straordinario? Solo nello sforzo sincero, e con i bambini non può essere altrimenti, di rintracciare la dimensione autentica della città, possiamo ricostruire quella trama della nostra identità locale e attraverso essa leggere i fatti del mondo.

Un secondo aspetto da tenere ben presente è che non dobbiamo confondere il mondo fantastico dei bambini e la loro capacità di andare oltre alla fisicità delle cose con i processi di falsificazione che troviamo spavaldamente e quotidianamente enunciati nelle logiche di marketing, ma che spesso troviamo, in forme più mimetiche nei regolamenti urbanistici che orientano sul piano culturale le modificazioni dei tessuti storici, soprattutto andando dietro alle logiche dettate dal turismo mordi e fuggi che per fortuna Pistoia è riuscita a contenere. Partire proprio da come i bambini percepiscono la città significa porre delle basi della nostra contemporaneità: essere contemporanei significa vivere in modo creativo e quindi anche fantasioso il proprio tempo e andare oltre le consuetudine e le immagini prefissate, proprio come fanno i bambini. Come il bambino non si stanca di esplorare la vastità degli spazi anche l’uomo non deve mai esaurire il suo desiderio di ricerca di nuovi scenari.

Attraverso i bambini percepiamo un’altra impostazione che mette in crisi il nostro modo di vedere la città. Se prendiamo, ad esempio, la nostra stupenda piazza del Duomo da una lettura superficiale la percepiamo come una realtà sostanzialmente immutabile, quasi eterna: cogliamo principalmente i fatti più oggettivi il vuoto nelle ore serali che contrasta con il pieno di un giorno di mercato, la luce accecante che omogeneizza le superfici e quella della luna che le rende, quasi metafisiche. Attraverso i bambini possiamo andare oltre, poiché la piazza, come ogni altra parte della città, cresce, acquista nuovi significati con il crescere della persona stessa.

Per un bambino di quattro o cinque anni la piazza rappresenta la vastità del mondo; immaginiamo cosa possa significare per lui passare dai ambienti conosciuti e rassicuranti a sua misura, come la casa o l’asilo, ai luoghi vasti, dove anche le figure di riferimento come la mamma, il babbo, i nonni o le maestre diventano piccoli rispetto ai grandi giganti di pietra che stanno intorno.

Quel solito ampio spazio diventa, poi intimo, quasi una stanza, lo sfondo ideale magari per il primo bacio tra i due bambini diventati adolescenti oppure lo scenario collettivo dove alimentare passioni sociali o politiche quando il bambino diventa un uomo che intende manifestare le proprie idee. Può, infine, diventare luogo della memoria per il bambino divenuto oramai vecchio, che all’ombra del Palazzo del Tribunale osserva con distacco lo svolgersi frenetico della vita e quei giganti di pietra proiettano ombre, a volte, un po’ inquietanti a sottolineare la loro solidità nel tempo rispetto alla nostra fragilità.

Eppure, gli edifici con la loro austera conformazione, sono sempre lì anche se ogni tanto si rifanno un po’ di trucco per nascondere la loro vera età. Se tutto ciò può essere vero, è importante far percepire al bambino, proprio nei primi anni, questo senso di familiarità di appartenenza allo spazio urbano. Nel tempo lui potrà coltivare questa relazione ed ecco che quel determinato luogo non sarà uno dei tanti ma il suo e questa consapevolezza è il primo presupposto per diventare dei veri abitanti e non semplici cittadini.

Solo così la persona adulta non potrà dimenticare il suo essere ancora bambino ed ecco che la meraviglia, lo stupore, la capacità di osare potranno rimanere i tratti distintivi del suo pensare e del suo agire, con i quali disegnare un mondo nuovo e inclusivo. Solo allora gli austeri palazzi della storia, si scioglieranno in un tenero sorriso di incoraggiamento e abbatteranno il loro essere limite nella piazza per diventarne il suo naturale prolungamento dove poter continuare a camminare ed ad indagare, proprio come i bambini la rappresentano nei loro bellissimi disegni.


Alessandro Suppressa