IL TIRRENO E LA NAZIONE LUGLIO 2006

VICENDE URBANISTICHE

E’ oramai un comune convincimento che il governo delle trasformazioni urbane sia questione complessa. Tale consapevolezza ci spinge comunque ad una valutazione sulle azioni messe in cantiere dalla giunta Berti in materia di politica urbanistica.

Un primo fatto è evidente: la definizione del futuro assetto urbanistico della città è rimasto ancora territorio esclusivo dei Democratici di Sinistra; da una parte le altre forze di maggioranza si sono ritagliate delle proprie aree tematiche senza mettere mano ad una revisione critica delle politiche urbane anche in termini di organizzazione della struttura, dall’altra, le forze di opposizione, costrette sempre a rincorrere non sono state in grado di delineare uno scenario alternativo e convincente.

Altro fatto abbastanza evidente è che le scelte operate in materia urbanistica dalla giunta Berti presentano inevitabilmente luci e ombre ma occorre riconoscere che diverso è stato l’atteggiamento (obiettivi, procedure, risultati) sulle scelte “maturate in proprio” rispetto a quelle ereditate, nei confronti delle quali, forse, è mancata lucidità di interpretazione ma soprattutto è mancato il coraggio di segnare elementi di discontinuità rispetto al passato.

Tra i fatti positivi che non a caso sono stati segnati da larghi consensi, è l’aver portato avanti con determinazione la realizzazione della nuova biblioteca (una delle rare opere pubbliche degne di questo nome, di grande respiro europeo scaturita non a caso da un concorso di architettura), la scelta di aprire la procedura per il contratto di quartiere delle Fornaci (dove una corretta impostazione come la partecipazione dei cittadini è prevista dalle norme legislative), la rotonda della Vergine, non solo per aver contribuito a risolvere un nodo viario complicato ma per la rapidità e la qualità realizzativa e infine l’impostazione con la quale è stato dato il via alla nuova sede dell’università all’interno della area ex-Breda: prima un piano di fattibilità per consentire di mettere a fuoco gli obiettivi, i costi e i tempi e poi la determinazione ad intraprendere una procedura concorsuale per selezionare un progetto di qualità.

Sulle questioni “ereditate” non sono mancate, a giusta ragione, le polemiche: i cittadini oramai sono in grado di riconoscere l’appropriatezza delle soluzioni e se esiste una sproporzione fra obiettivi ambiziosi e procedure discutibili.

La vicenda del nuovo ospedale è quella più rilevante. A mio avviso non tanto per la scelta del sito ma soprattutto per non aver messo in campo una procedura all’altezza del valore dell’area. Occorreva definire un master plan dell’intera area del campo di volo in cui comprendere e definire i connotati qualitativi sia del nuovo ospedale, sia del parco urbano. La scelta di operare una progetto “fotocopia” anche se adattato al sito è troppo rischiosa e allora era meglio impegnare aree di minor pregio già urbanizzate.

L’area ex Breda è un intreccio tra finalità di grande respiro (Università – Biblioteca) e interventi privati in cui sono stati delineati solo gli aspetti dimensionali. Anche i privati (soprattutto i grossi) devono misurarsi seriamente sulla qualità architettonica: le recenti realizzazioni sono sotto gli occhi di tutti e certo non sono i segni di brani di città contemporanea come l’area ex- Breda invece dovrebbe essere.

Un altro punto programmatico che suscita molte perplessità molto attuale in questi giorni è il nuovo piano per il centro storico elaborato dal Prof. Cervellati urbanista di grande esperienza ma non sempre condiviso. Ci troviamo ad interrogarci su una proposta ampiamente elaborata che ha naturalmente sviluppato delle basi teoriche sulle quali è mancato un reale confronto. Cervellati sostiene i suoi convincimenti da decenni, sui quali occorrerebbe misurarsi sulla base dei suoi risultati ottenuti nelle tante esperienze. Temi come l’identità, il recupero dei luoghi significativi, il concetto di restauro, il rapporto storia – contemporaneità, una città che ha dato i natali a personaggi come Michelucci, Bassi, Natalini nell’architettura o Marini, Fabbri e Vivarelli nella scultura che ospita la grande esperienza della Villa di Celle non può delegare la loro traduzione a delle “semplificazioni” che Cervellati propone in ogni area geografica.

Siamo sicuri che l’identità di una città si ridefinisca (siamo a questi livelli?) ponendo lo spartiacque storico degli anni ’50, oppure delineando un’immagine rassicurante (che tanto piace ai turisti) di spazio urbano che riporta indietro l’orologio ai primi anni del ‘900, riconfigurando le nostre piazze sulla base di cartoline d’epoca?. Non abbiamo proprio altri contenuti da proporre?

La nostra società e la cultura politica che governa Pistoia non esalta la diversità, l’integrazione fra la pluralità dei linguaggi culturali e formali. Può una rigorosa impostazione ideologica contenuta nel piano del centro storico appiattire tutto ciò e lasciare che lo stesso Cervellati sostenga nel catalogo della “Fabbrica della città” alla domanda: che cosa non le piace di Pistoia? “ Non mi piace la Borsa Merci di Michelucci nel centro”. A parte il fatto che potrebbero stare in cima alla lista ben altri interventi ma per fortuna i nostri antenati sono stati più lungimiranti realizzando opere “contemporanee” come il Battistero o S.Giovanni Forcivitas che tutto il mondo ci invidia.

Alessandro Suppressa